Il Diritto come interazione. Note a margine del saggio di Lon. L. Fuller
Il Diritto come interazione. Nota a margine del saggio di Lon. L. Fuller
Marco Stefano Birtolo
This paper is a reflection on an essay by Lon Luvois Fuller, taken from his work The Principles of Social Order (1981). The aim is to emphasize how Fuller’s conception of law can be useful to understand the reasons for the crisis of contemporary legal and political orders. In particular, Fuller’s idea that law originates in the interaction between individuals and serves the purpose of organizing and fostering relations between them is deepened.
La ripubblicazione della traduzione di un capitolo fondamentale dell’opera The Principles of Social Order (1981) di uno dei più importanti filosofi del diritto statunitensi, Lon Luvois Fuller (1902-1978), muove dalla convinzione che il pensiero giusfilosofico dell’autore americano, spesso trascurato nel dibattito accademico italiano, abbia molto da dire sui problemi e sulle questioni a cui sono chiamati a rispondere gli ordini giuridici e politici contemporanei. Negli ultimi anni alcune iniziative editoriali hanno riportato all’attenzione del lettore italiano la filosofia di Fuller, e tra queste vanno annoverate senza dubbio quelle curate da Andrea Porciello, che nel 2016 ha dedicato una monografia all’autore in questione e ha tradotto alcune parti delle sue più importanti opere . Tuttavia, ciò che manca in Italia è una riflessione complessiva sulla filosofia giuridica di Fuller , che approfondisca e valorizzi ulteriormente le principali questioni connesse all’ultima fase del suo pensiero, compresa tra la pubblicazione nel 1968 di Anatomy of Law e la pubblicazione postuma del volume The Principles of Social Order. Generalmente, infatti, i richiami al pensiero giusfilosofico di Fuller si limitano a prendere in considerazione soltanto aspetti parziali della sua filosofia e spesso si sono concentrati perlopiù sulla grande querelle tra Fuller e Herbert L. A. Hart .
La riproposizione di questo testo, invece, tradotto da Lorenzo Scillitani e da chi scrive ed edito per la prima volta nel 2004 dalla Rivista «Nuovo Sviluppo», vuole invitare il lettore a focalizzare l’attenzione non tanto sulle già indagate tematiche sollevate da Fuller all’interno del suo capolavoro, The Morality of Law , o sull’annosa questione del rapporto tra diritto e morale, quanto piuttosto sulla parte più antipositivistica e antiformalistica della sua filosofia, che suggerisce prospettive di interpretazione del fenomeno giuridico e politico che meritano di essere nuovamente esplorate. Il che, tuttavia, richiede preliminarmente di esplicitare il motivo per cui includiamo Fuller nel novero degli antiformalisti.
Se, infatti, si intende per formalismo giuridico la concezione di un diritto la cui validità non è misurata sulla base del contenuto delle norme ma viene definita esclusivamente in relazione alla conformità alla sua struttura formale – tanto da considerare diritto esclusivamente quello decretato dall’autorità preposta –, allora a nostro avviso non si potrà che ricomprendere nel composito filone dell’antiformalismo giuridico un autore come Fuller che, in contrasto col normativismo di Hans Kelsen e col positivismo giuridico di Herbert L. A. Hart e attraverso un ampio ricorso al campo delle scienze sociali, ha promosso una concezione del diritto come fenomeno sociale specifico, che prende le mosse dalla realtà empirica. Non è un caso, peraltro, che il capitolo tradotto in questo numero di Politica.eu porti come titolo Il diritto e l’interazione tra gli uomini, a conferma che siamo di fronte ad un autore che costruisce la propria teoria giuridica e politica individuando la genesi dell’esperienza giuridica nelle relazioni intersoggettive che si formano «dal basso» nella realtà sociale.
Il diritto, infatti, a tutti i suoi livelli viene definito da Fuller in questo scritto come qualcosa che trova origine nell’interazione tra gli individui e che serve alla finalità di organizzare e favorire le relazioni tra di essi. Tale fondamento è alla base di tutte le tipologie di diritto e, di conseguenza, anche dei quattro modi di essere del diritto che l’autore americano approfondisce in questo saggio: il diritto consuetudinario, il contract law, il diritto legislativo e il common law. Implicita in tutta l’analisi svolta è la considerazione che diritto e contesto sociale si condizionano a vicenda sensibilmente.
Se quest’ultima affermazione può essere immediatamente comprensibile con riferimento al diritto consuetudinario e al contract law, ciò, sostiene Fuller, è ugualmente vero per il cosiddetto diritto formalmente emanato o, detto in altri termini, per il diritto legislativo. Anzi, è proprio perché abitualmente si tende a considerare quest’ultimo come un diritto teso a favorire il controllo sociale, anziché l’interazione, che il rapporto tra legislatore e cittadino viene spesso male interpretato. A tal proposito, l’obiettivo dichiarato da Fuller in questo saggio è di dimostrare che la comprensione dell’origine interazionale delle tipologie di diritto diverse da quello legislativo – come ad esempio il diritto consuetudinario e il contract law – può aiutare a comprendere più a fondo anche la natura e la finalità del diritto formalmente emanato, che consiste ugualmente nella sua capacità di soddisfare le «aspettative interazionali» degli individui.
Di conseguenza, la ragione per cui l’autore muove dall’analisi del diritto consuetudinario sta nel fatto che la natura interazionale di tale diritto appare più facile da identificare, poiché riesce bene a spiegare al lettore cosa si intende quando si dice che il diritto deve accontentare le «aspettative interazionali» degli individui. In proposito, Fuller sostiene che il diritto consuetudinario è stato considerato erroneamente un diritto basato sul concetto di abitudine e su «una linea di condotta osservata a lungo ed in generale» nel tempo – spesso condizionata da rituali senza uno scopo e dalla superstizione –, mentre mai nessuno ha riflettuto sulla vera origine del diritto consuetudinario. Infatti, gli studiosi di diritto consuetudinario sono stati più impegnati a definire in cosa consiste la consuetudine e quanta parte del diritto consuetudinario si possa conservare oggi, piuttosto che sforzarsi di rispondere alla domanda su quali siano stati i processi formativi di determinate consuetudini e se esistano oggi «processi analoghi a quelli che, prima del diritto formalmente stabilito, ponevano in essere le nor-me consuetudinarie» .
Sono queste ultime le domande che sollevano un vero interesse per il diritto consuetudinario e la risposta sorprendente che Fuller fornisce in questo saggio è che vi è sempre una ragione interazionale alla base del processo di formazione delle norme consuetudinarie, nel senso che la finalità di tali norme è di organizzare e di favorire l’interazione tra gli uomini. Per sostenere tale posizione il filosofo americano fa continui ricorsi alla letteratura sociale e antropologica e prova a rispondere a due principali obiezioni che spesso vengono mosse a questo tipo di interpretazione.
Prima di tutto, egli mette in discussione l’obiezione di quanti ritengono «che il diritto consuetudinario delle società primitive può formulare norme che non hanno a che fare con l’interazione fra gli uomini» ma che coinvolgono spiriti e divinità, dimostrando come anche in quest’ultimo caso le azioni degli uomini nei confronti delle forze soprannaturali abbiano una fortissima ricaduta sul rapporto con gli altri individui della comunità. In secondo luogo, Fuller, sottolineando come ogni ritualità che caratterizza il diritto consuetudinario soddisfi proprio lo sviluppo di aspettative stabili, critica chi sostiene che una concezione del diritto consuetudinario come linguaggio di interazione sia «un po’ troppo razionalistica ed attribuisca al diritto consuetudinario un’attitudine funzionale, una finalità così trasparente, che è ben lontana dalla consuetudine primitiva» . Il che significa, ancora una volta, ribadire che il diritto consuetudinario, al di là degli stereotipi e delle semplificazioni a cui spesso viene sottoposto, va inteso secondo Fuller come un si-stema di gestione delle interazioni in grado di organizzare le relazioni tra individui.
La natura interazionale del diritto è altrettanto riconoscibile quando l’autore passa ad analizzare il contract law, definito anch’esso «come uno dei mezzi idonei a fondare “stabili aspetta¬tive interazionali”» . Il contratto, infatti, viene equiparato da Fuller ad una vera e propria legge «che le parti stesse pongono in essere col loro accordo», allo stesso modo in cui il diritto consuetudinario dà vita ad alcune leggi che vigono tacitamente, come una sorta di «diritto muto» tra gli individui . L’unica differenza tra i due tipi di diritto è che nel diritto consuetudinario «le aspet¬tative legate all’interazione sono create dalle parole, nell’altro, dalle azioni» . Eppure, aggiunge Fuller, questa differenza mantiene perlopiù una funzione didascalica, dal momento che anche il contratto, anziché descrivere dettagliatamente i rapporti di relazione tra gli individui, contribuisce prevalentemente a costruire una cornice entro la quale tali rapporti si svolgono.
Anche l’opinione che vede nel diritto consuetudinario qualcosa di riferibile ad un insieme di persone e il contract law coinvolga solo le parti che firmano il contratto, è per Fuller una tesi fuorviante. La dimostrazione di ciò diventa evidente, allorché si pensa che la stragrande maggioranza dei contratti sottoscritti «è prestampata, preparata da una delle parti per la realizzazione dei suoi interessi ed imposta all’altra parte sulla base del “pren¬dere o lasciare”» , il che vuol dire che non nasce esclusivamente dall’interazione tra gli individui in un determinato momento, ma dalla prassi che precedentemente è stata seguita da altri nella redazione dei contratti.
Un’altra apparente distinzione tra diritto consuetudinario e contract law sembra quella per cui un contratto comincia ad essere efficace immediatamente, «oppure quando le parti decidono che lo diventi, mentre la consuetudine diventa legge solo attraverso una pratica osservata nel tempo» . Anche tale differenza sta più sulla carta che non nella pratica, dato che, sostiene Fuller, solo un’errata considerazione del diritto consuetudinario può far credere che esso entri in vigore nel tempo, mentre vi sono molti casi in cui «esso può sorgere quasi dalla sera alla mattina». Tuttavia, anche a voler prendere sul serio tali differenze, per l’autore rimane ugualmente valido ciò che egli intende dimostrare, vale a dire che entrambi questi tipi di diritto rispondono all’esigenza di codificare un linguaggio d’interazione.
E il diritto formalmente emanato soddisfa tale esigenza, riesce a realizzare e a favorire l’interazione? Detto nei termini di Fuller, «si può considerare il diritto formalmente emanato come dipendente dallo sviluppo di “stabili aspettative interazionali” fra legislatore e cittadino?» . E ancora, esso «realizza la finalità di regolare e di favorire le interazioni dei cittadini fra di loro?» . La risposta di Fuller è molto netta in proposito e si può riassumere come segue: o il diritto legislativo riesce ad andare incontro e a realizzare le aspettative degli individui, favorendo le relazioni tra i cittadini, oppure è destinato a generare insoddisfazione tra di essi.
Perciò, bisogna abbandonare le concezioni del diritto che lo definiscono un sistema di controllo sociale o, peggio ancora, un mezzo per imporre una determinata moralità in qualche ambito, poiché un tale atteggiamento non fa altro che seminare sfiducia nei confronti del diritto formalmente emanato, mettendo in crisi gli ordini politici. In tal modo, «la legge non invita il cittadino ad interagire; la legge agisce al di so¬pra di lui» e il diritto viene erroneamente posto in essere per un esercizio di autorità, piuttosto che per favorire l’interazione di aspettative reciproche. Tale maniera di concepire il diritto legislativo, ad avviso di Fuller, non può che generare scontento tra gli individui, a differenza di quanto può fare un diritto legislativo finalizzato a garantire il «principio di interazione tra i cittadini».
Se ciò appare evidente soprattutto nel campo del diritto dei contratti, del diritto di proprietà e del diritto di famiglia, il principio di interazione tra i cittadini può essere altrettanto applicabile anche nell’ambito del diritto penale, per quanto in prima battuta, dice Fuller, si possa essere portati a pensare il contrario. A tal proposito, il filosofo americano prende in considerazione una delle norme giuridiche principali del diritto penale, ossia quella che proibisce l’omicidio, con l’obiettivo di dimostrare che una concezione del diritto basata sull’inte¬razione trovi un contesto ugualmente adeguato in questo delicato contesto.
Verosimilmente, sostiene Fuller, «l’omicidio è proi¬bito perché è ingiusto, non perché la minaccia di esso possa ridurre la potenziale ricchezza delle relazioni fra gli uomini» . Eppure, studiare tale fenomeno in una prospettiva storica aiuta a comprendere tale norma sotto una luce inedita:
Un membro della famiglia A uccide un membro della famiglia B. In una società primitiva, la naturale risposta a questo atto consiste, per i membri della famiglia B, nel cercare di vendicarsi con¬tro la famiglia A. Se a questa vendetta non sono fissati limiti, può scoppiare una guerra mortale fra le due famiglie. Di conseguenza, si è diffusa, in molte società primitive, una norma per cui, nel caso in esame, la vendetta di sangue da parte della fa¬miglia B deve essere limitata ad una sola uccisione, benché si ritenga che la famiglia offesa abbia titolo, come se fosse di diritto, a questa sorta di controuccisione. Uno sviluppo normativo più recente proibirà di solito la vendetta di sangue e richiederà invece un risarcimento sotto forma di «moneta di sangue» da pagare per un omicidio. In tal caso, evidentemente, la legge che punisce l’omicidio serve a regolare l’interazione e, magari, a favorire l’interazione ad un livello più vantaggioso, per tutti gli interessati, della catena di omicidi e contro-omicidi .
Presentata in questo modo, dunque, anche la norma che proibisce l’omicidio sembra essere nata per garantire un’interazione più vantaggiosa tra gli individui piuttosto che per realizzare un astratto fine morale, il che, peraltro, avvicina l’interpretazione avanzata da Fuller ad alcuni esponenti dell’analisi economica del diritto.
Una volta sostenuto che una concezione del diritto basata sull’interazione può essere applicata in tutti i suoi diversi rami, Fuller passa ad affrontare l’altro importante requisito – di natura più politica – che il legislatore deve soddisfare, dal quale è possibile trarre alcuni spunti di riflessione sull’attuale crisi degli ordini politici democratici. Tale requisito consiste nella capacità del diritto formalmente emanato di creare stabili aspettative relazionali fra legislatore e cittadino: così come il legislatore si aspetta che il cittadino rispetti le leggi da lui approvate, allo stesso modo anche il legislatore deve attenersi alle leggi che ha promosso, pena l’inefficienza e il declino dell’intero sistema.
Questo è, dunque, uno dei principi fondamentali che ogni legislatore deve soddisfare e che apre il campo anche ad un altro tipo di considerazione riguardante più direttamente la certezza del diritto . Se, infatti, le leggi vengono cambiate velocemente dal legislatore o dal governo ogniqualvolta gli convenga, non si daranno più le «stabili aspettative interazionali» tra cittadino e legislatore. Di conseguenza, il cittadino non si fiderà più del legislatore e ciò potrà creare un cortocircuito nel sistema politico.
Tuttavia, andando oltre Fuller, questo problema rimane difficilmente superabile per ogni diritto formalmente emanato in un ordine democratico, poiché risulta nei fatti impossibile richiedere al potere legislativo di non modificare o di non abrogare le leggi qualora lo ritenga opportuno. Sarebbe complicato immaginare una norma di qualunque natura che impedisca al legislatore di modificare una legge per una certa quantità di tempo, cosa peraltro non prevista da nessuna Costituzione. È, infatti, connaturato ad ogni produzione del diritto per via legislativa una «certezza del diritto di breve durata» (per dirla con Bruno Leoni), proprio perché l’opportunità da parte del potere legislativo di modificare di volta in volta la legislazione vigente è il cuore di ogni democrazia. Peraltro, è questa anche la ragione per cui un autore come Friedrich Von Hayek , dopo averlo fortemente criticato, riconosce una certa importanza al sistema di produzione del diritto per via legislativa, il quale assicurerebbe nel momento del bisogno e in situazioni straordinarie di poter cambiare le leggi velocemente. Il che equivale a dire che potenzialmente il diritto formalmente emanato va sempre incontro a tale pericolo, mettendo a rischio le «stabili aspettative interazionali» tra cittadino e legislatore .
Ed è verosimilmente per questo motivo che Fuller, nella parte finale del saggio, dopo aver analizzato il diritto formalmente emanato, fa un esplicito riferimento ad una quarta tipologia di diritto, ossia al common law. Quest’ultimo, dice Fuller, «affonda le sue radici nell’interazione fra gli uomini molto più del diritto legislativo» , sia perché ha la capacità di rendere più stabili le aspettative interazionali, sia perché il diritto legislativo registra una difficoltà strutturale nel cogliere in anticipo «le varie situazioni di interazione che possono ricadere nell’ambito di una norma preformulata» .
Per ciò che riguarda il primo punto, il common law sembra più attrezzato a garantire «una certezza del diritto a lungo termine» (per usare sempre il linguaggio di Leoni), perché il cambiamento nel modo di giudicare le stesse fattispecie è sicuramente più lento e non soggetto agli immediati mutamenti politici. Per quanto riguarda, invece, la seconda questione, è altrettanto innegabile, secondo Fuller, che un sistema di common law è in grado «di modellare e rimodellare le sue prescrizioni a seconda delle configurazioni che la vita proietta nel processo» :
Quel che al common law manca in termini di chiara preformulazione – sostiene Fuller – è forse più che compensato dalla sua capacità di riplasmare e di riformulare le sue norme alla luce delle situazioni che realmente si presentano in sede decisionale. Il common law risulta, dunque, un complesso amalgama di tipologie giuridiche, una mistura di diritto legislativo espli-cito come di taciti accomodamenti propri del diritto consuetudinario, talora capace di esprimere le caratteristiche più apprezzabili di entrambi i sistemi e capace, ma raramente, di mostrarne le meno apprezzabili .
In definitiva, in questo scritto Fuller sembra affermare una certa superiorità dei sistemi di common law rispetto a quelli di diritto legislativo, nonostante sia altrettanto convinto che un diritto formalmente emanato in grado di rendere operativa la natura interazionale del diritto sia una forma di produzione di esso del tutto legittima ed efficace.
Ed è probabilmente quest’ultima la lezione più attuale che il saggio di Fuller suggerisce, vale a dire che se il diritto, in particolare quello formalmente emanato, non riesce a regolare e a favorire l’interazione tra i cittadini cercando di soddisfare le loro aspettative, allora i sistemi giuridici e politici rischiano di essere considerati strumenti puramente coercitivi. Peraltro, ciò è tanto più vero se si pensa alla crisi in cui versano le democrazie contemporanee, in cui il senso di sfiducia verso le istituzioni politiche deputate a produrre diritto nasce perlopiù dalla percezione della loro incapacità a rispondere efficacemente alle richieste dei cittadini. In tal modo, il diritto viene percepito come uno strumento di controllo sociale o come un mezzo per governare, piuttosto che come un tramite per favorire le interazioni tra gli individui e le loro aspettative.
Verosimilmente la riscoperta di un diritto interazionale a tutti i livelli può essere una delle vie da battere per restituire fiducia e credibilità agli ordini politici, dato che, «se si accetta l’idea per cui la finalità centrale del diritto è di offrire linee-guida all’interazione fra gli uomini, allora si chiarisce la ragione per la quale l’esistenza del diritto formalmente emanato come sistema effettivamente funzionante dipende dall’instaurarsi di stabili aspettative interazionali fra legislatore e cittadino» .
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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